# Parte Seconda 
## Capitolo Terzo - Alfred Price Li-Ciu

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Jo, tra il secondo primo e il primo secondo, sentì l’irrefrenabile desiderio di allentare la cintura dei pantaloni. Non ricordava di aver mai mangiato così tanto e di gusto negli ultimi anni. Ad Alyangula, l’unico posto dove un commensale avrebbe potuto ordinare un’ottima bistecca di canguro, accompagnata da verdure al grill e patate al forno, era la tavola calda della “Vecchia Pam”, che purtroppo aveva chiuso i battenti un paio d’anni prima, quando la donna vendette l’attività e si trasferì dai figli a Darwin.

*“Signor Thompson, altro vino?”, domandò con tono gentile Charlotte.*

*“Io sì, gentilmente!”*, controbatté Gerison, allungando il bicchiere, che d’istinto ritirò quasi subito, aggredito verbalmente dalla moglie: *“Albert, Adesso basta bere! Domani mattina a quanto pare avete una riunione importante e vi dovete svegliare presto. Giusto George?*”, commentò Giada rivolgendo lo sguardo all’ammiraglio Edison intento a inondare la sua bistecca di crema vegemite.

*“Giada, amica mia… Ormai faccio affidamento solo su di te. Non voglio che il mio amico dormiglione arrivi in ritardo domani, sarebbe alquanto disdicevole”*. I due si scambiarono un cenno d’approvazione, tra gli sguardi cagneschi di Albert. 

La splendida vista della baia di Sydney e la frizzantina aria della sera, che arrivava ogni qualvolta il cameriere apriva la porta della veranda, fecero da cornice alla deliziosa cena. L’allegra comitiva mise da subito John a proprio agio e di buon umore: stranamente, contro ogni sua più rosea previsione. 
Senza il benché minimo imbarazzo rispose e commentò divertito alle numerose e impertinenti domande delle due donne. Interpellanze che vertevano quasi tutte sulla sua vita di coppia e su un suo possibile futuro matrimonio con Sally.   

*“Mi dica John, come pensa d’impegnare il suo tempo, ora che si godrà la meritata pensione? Sa a me piace viaggiare, a differenza di George, che è diventato un burocrate-pantofolaio. Difficilmente riesco a schiodarlo da Sydney”*, domandò Charlotte.

*“Beh, non è che ci sono molte cose da fare a Groote Eylandt… Non so nemmeno se resterò sull’isola. Forse farò un viaggio”*. Jo si fermò a pensare una decina di secondi al resto della sua risposta, ripiegò il tovagliolo che aveva appoggiato sulle gambe, lo posò sul tavolo e istintivamente, come per dimostrare sazietà, spostò il piatto davanti a sé. Poi, appoggiando i gomiti sul tavolo, confermò: *“Sì, sicuramente farò un viaggio. La mia Sally è nata e cresciuta sull’isola ed è ormai da parecchio tempo che mi chiede di portarla in vacanza. Credo proprio sia giunto il momento di farle fare le valigie. Ho prenotato un volo per Melbourn per la prossima settimana… Una sorpresa. Per questo motivo speravo che la mia permanenza a Sydney fosse durata al massimo un paio di giorni. Ora, Charlotte, dipende tutto da quel burocrate-pantofolaio di suo marito”*, continuò prima di girare lo sguardo, accompagnato da un malinconico sorriso, sul volto distratto di Edison.

L’ammiraglio sembrò non dare peso all’amara affermazione di Jo, intento com’era a scartare con avidità un vassoio di biscottini della fortuna che il cameriere aveva lasciato sul tavolo come predessert. Senza alzare lo sguardo dal fogliettino che teneva in mano, esclamò: *“Se il Destino è contro di me, beh, peggio per lui! Bella massima, non trovate? Mi piacciono questi fottuti biscotti cinesi! Ne vuole scartare uno anche lei?”*, domandò Edison porgendo il vassoio a Jo.

*“Veramente un mio caro amico d’origine cantonese mi disse che in realtà questi biscotti non sono di provenienza cinese, bensì giapponese. George va bene, me ne dia uno. Però lo lascio scegliere a lei il mio destino”*, replicò Jo ridendo.

Con tono serioso, Edison scartò un biscotto e lesse il contenuto ad alta voce: *“I legami più profondi non sono fatti né di corde né di nodi, eppure nessuno li scioglie… Lao Tzu”*

*“Lao Tzu… Suona un po’ come Li-Ciu, il suo amico cinese, si chiamava così se non mi sbaglio. A proposito, che fine ha fatto? Ci ha raccontato delle sue esuberanze giovanili, del suo pellegrinare per il mondo e dell’avventura da sportivo, ma del cuoco cinese e cosa successe dopo che lasciò gli Swans non ha fatto parola! Potrebbe interessare anche alle ragazze”*, incalzò Gerison, dando una pacca sulla spalla in modo affettuoso e amichevole a Jo.



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*“Cuoco cinese? Gli Swans? Chi, la squadra di fotty?”*, chiese curiosa Giada.

*“Amore tu non lo sai, ma il buon Thompson ne avrebbe da raccontare per ore e ore”*, rispose Gerison.

John cercando di cambiar discorso, commentò: *“Sì è vero, ne avrei da raccontare per così di storie, ma quella di Li-Ciu, purtroppo, come molte altre di quegli anni è una storia triste. Non vorrei annoiarvi o peggio deprimervi”*.

*“John, la prego, ora sono proprio curiosa”*, insistette la bella Charlotte sbattendo le ciglia, fissandolo con un sorriso ammaliante.

*“Beh, se me lo chiede così, non posso certo tirarmiindietro. Intanto, George, gradirei anch’io un goccio di quel liquore ai mirtilli che ha ordinato”*, rispose allentandosi la cravatta, non potendo per ovvie ragioni fare altrettanto con la cintura dei pantaloni. Bevve un sorso d’acqua, schiarì la voce e incominciò il suo racconto:
*“Come ho già raccontato ai vostri mariti, in gioventù sono stato un giocatore di football senza troppa fortuna. La mia esperienza negli Swans è durata poco, ma, lasciatemi dire, per fortuna! Non sono mai stato un loro tifoso. Era l’inverno del ‘35 e, se la memoria non mi inganna, un giovedì di febbraio. Per l’esattezza il primo febbraio del 1935. Quella fu l’ultima volta che vidi Li-Ciu o, per essere più precisi, Alfred Price Li-Ciu. Eh già, quel bravo figlio di buona donna era cittadino americano; un cino-americano con il padre di Los Angeles e la madre di Nanchino. Per tutti però era Li-Ciu, soltanto Li-Ciu. Che diamine, era visibilmente un muso giallo! E comunque era lui stesso a voler essere chiamato solo ed esclusivamente con il cognome della madre”*.

Jo proseguì raccontando come dopo l’ultima partita di football disputata, prese un’importante decisione: tornare a casa nella sua Darwin. Raccontò di quando, il lunedì successivo alla partita, ritirò gli ultimi risparmi che aveva depositato in banca e ne dilapidò subito la metà acquistando una nuova e fiammante motocicletta italiana: una Moto Guzzi rossa. Con essa si recò all’ufficio postale e si fece consegnare una dettagliata mappa dei territori centrali. Insomma, stava per commettere una follia: percorrere il continente da sud a nord attraverso lande desolate, altipiani, deserti e territori selvaggi ancora del tutto inesplorati. Luoghi dove la presenza dell’uomo bianco era ancora vista dagli aborigeni come un affronto ai loro antenati e alle loro divinità.

*“Li-Ciu me lo disse chiaro e tondo. Disse che secondo lui ero un pazzo e che, se volevo tornare a casa, potevo farlo comodamente in treno, come fanno tutti quanti, ma da vero amico quale era, non mi fermò. A dire il vero non mi incoraggiò nemmeno più di tanto, si limitò a darmi solo un paio di consigli: primo, impara a portare la moto e secondo, impara a tenere in mano una pistola. Ebbene sì, mi conosceva bene. Non avevo la minima idea né di come si conduceva una motocicletta e tanto meno da che parte si impugnava un revolver. Da ragazzo andavo a caccia e sapevo tirare con lo schioppo, ma sparare con la pistola era un’altra cosa… Mi fece comprare una semiautomatica, una Browning 1900. La sera stessa, ubriachi fradici, saltammo in sella alla mia nuova Moto Guzzi e andammo fuori città a sparare alle bottiglie di birra che c’eravamo scolati. Quella notte imparai a centrare al volo qualsiasi cosa: pull!”*, esclamò istintivamente battendo una mano sul tavolo.


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Tracannando in un solo sorso il digestivo che il cameriere gli portò, Jo cominciò a parlare del suo primo incontro con l’amico Li-Ciu. La prima volta che i due scambiarono qualche parola fu sulle banchine del molo di Cadice. Il comandante dell’Adelaide era in attesa di capire se avrebbe potuto affrontare o meno l’Oceano Atlantico per intraprendere il viaggio di ritorno in patria, mentre il suo equipaggio, compreso il giovane ufficiale di rotta John Thompson, era più interessato ad altro. La permanenza forzata nel porto andaluso, si rivelò in realtà una piacevole vacanza. Tra i pomeriggi passati a prendere il sole in spiaggia e le serate trascorse a bere vino nelle taverne del centro storico, l’unico obbiettivo di giornata era quello di rimpinzarsi la pancia nei locali del Barrio del Popolo, in modo e maniera da dimenticarsi di essere rimasti senza il cuoco di bordo. Le giornate in quella calda estate spagnola si concludevano sempre in gloria: o alla corrida, a parteggiare per il toro, o alla casa di tolleranza. Jo incrociò per la prima volta lo sguardo di Li-Ciu all’uscita dal bordello “La flor de la dama roja”, dove ormai l’allegra combriccola australiana era di casa, trascorrendo lì la maggior parte delle notti. Certo non era la prima volta che vedeva un cinese, ma in Europa, a pensarci bene, fino ad allora ne vide ben pochi, se non addirittura nemeno uno. Una mattina, notò quel muso giallo che percorreva a passo svelto il Barrio de la Vina con aria circospetta, come se stesse controllando ripetutamente di non essere inseguito, urtando maldestramente i passanti. Ne fu molto incuriosito.

Dopo aver acceso per sé un cubano generosamente offerto da Albert, passò lo Zippo a Giada, che a sua volta si accese una bionda, dimostrando compiaciuta di essere sempre più affascinata dal racconto di Jo. Egli, con un cenno del capo e tirando le prime boccate, continuò: “*Io, il vecchio direttore di macchine Bobby Andersen e altri due marinai, lasciammo le nostre amorevoli camere e ci incamminammo verso il porto. Fu lì che incontrammo di nuovo il cinese: questa volta correva. Quel povero cristo era inseguito da tre persone, tre energumeni che lo raggiunsero e lo circondarono; ne scaturì una colluttazione, lo gonfiarono letteralmente di botte. Sulle prime la scena ci divertì. Si formò da subito un capannello di curiosi, dal quale ci tenemmo a debita distanza. Ci prodigammo anche con alcune battute goliardiche, mimando improbabili mosse di kung fu. Poi, all’improvviso, Li-Ciu, che non conosceva nessuna arte marziale e neppure nessuna mossa segreta, fu colpito in pieno muso da un dritto: sbang! Stramazzò a terra. Disteso sul selciato, si rannicchiò portando le braccia al volto, cercando disperatamente di parare più calci possibili. Con tutto il fiato che gli rimase, si rivolse a noi in fondo alla piazza. Ci chiamò in perfetto inglese apostrofandoci così: yankee di merda! Credendoci suoi connazionali, implorava il nostro aiuto. Noi quattro ci guardammo allibiti: cazzo non era cinese, era solo un fottuto americano dal muso giallo. E anche se australiani, da anglosassoni, ci sentimmo in dovere di aiutarlo e perciò partimmo a picchiar giù duro! Che rissa ragazzi, come menava il vecchio Bobby! Ci disse che per lui gli americani con i quali aveva combattuto fianco a fianco nella grande guerra erano come fratelli… Al grido di battaglia dei marines “Hoorah!”*, ci condusse alla carica”.

Mentre John raccontava la scazzottata in terra spagnola, mimandone tra le risate della tavolata anche qualche colpo, giunse il cameriere a chiedere se fosse arrivato il momento di servire il dolce. In risposta, Edison, divertito dal racconto di Jo, gli fece cenno di attendere ancora un paio di minuti. L’ammiraglio, approfittando della pausa dovuta all’ennesima boccata di sigaro da parte di Jo, domandò curioso: *“John, come finì la rissa?”*

*“Finì, che arrivò la polizia a sedare la baruffa. Non ci andarono per niente leggeri con i manganelli. I poliziotti saranno stati una decina, probabilmente avvertiti e allarmati dai passanti. Ci separarono in due fazioni: da una parte noi e dall’altra gli spagnoli. Nel mezzo, tenuto per il colletto della camicia da una guardia alta e grossa, il disgraziato Li-Ciu. Un altro sbirro, il più gentile che per altro parlava inglese, roteando lo sfollagente ci chiese i documenti. Si fece allora avanti Bobby, spiegandogli spiegò che eravamo tutti marinai australiani, compreso il cinese che era il nostro cuoco di bordo. L’agente lì per lì ci guardò con sospetto, poi, rifilando un calcio nel sedere a Li-Ciu, ci fece il cenno di sparire. Dopodiché, con un sorriso maligno stampato in volto, si dedicò anima, corpo e randello ai tre connazionali arrestati. Noi, senza perdere altro tempo, gonfi di botte e sanguinanti ci dirigemmo verso il porto. Giunti nei pressi della nave Li-Ciu mi ringraziò per l’aiuto, confidandomi che era giunto il momento per lui di lasciare quel posto, la Spagna e L’Europa. Il vecchio Bobby lo prese sottobraccio e gli disse che se voleva lasciare la Spagna loro lo potevano aiutare, ovviamente solo se sapeva cucinare. E alla mia domanda “qual è il piatto che ti riesce meglio?”, sputando sangue, mi rispose: polpette di merda. Assunto!”*

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### Indice
#### Parte Prima
Capitolo Primo L'uomo giusto
Capitolo Secondo Groote Eylandt
Capitolo Terzo Il tempo non cancella il dolore
Capitolo Quarto Secret
Capitolo Quinto I kasika
Capitolo Sesto Chi era Jo Thompson?
Capitolo Settimo Il martello
Capitolo Ottavo Gente di mare 
Capitolo Nono Swans
Capitolo Decimo Portale a casa

#### Parte seconda 
Capitolo Primo Il club 
[Capitolo Secondo Destinazione Oriente](https://steemit.com/ita/@kork75/ritorno-a-kasiha-seconda-parte-capitolo-secondo-by-kork75)