Francesco era stanco e stufo, stufo e stanco. 

La vita per tutti era una gran bella avventura non per lui. 
Lui era nato matto. 
Così gli diceva sua nonna a gran voce e sua madre in un sussurro con le amiche. 

Il " Citrullo" lo chiamava il padre senza vergogna. Rideva di lui al bar, una risata condita di delusione. 

Francesco sapeva di essere matto, lo aveva capito fin da subito, quando i compagni lo additavano, quando i maestri chiamarono i suoi genitori per dirgli che in lui c' era qualcosa che non andava. Quando gli avevano affiancato quella insegnante tanto dolce e carina, lui se ne era innamorato ed era finito da preside. Piovevano note per Francesco. 

Francesco per un mese aveva finto di essere un orologio, perchè l' orologio del babbo era rotto e non andava e se lui non andava doveva essere per forza un orologio, era l' unica spiegazione. 

Contava i secondi e i minuti dentro di se e faceva tic toc tic toc per ogni rintocco, a mezzogiorno faceva il verso alle campane della chiesa. 
Suo babbo lo rimproverava, gli dava fastidio tutto quel ticchettare da mattina a sera, talvolta lo menava, ma Francesco non si chetava lo stesso. 

Francesco aveva vent' anni. 

Sua madre diceva che con lui la scuola era uno spreco e poi ripeteva sempre la prima liceo, neppure i professori più magnanimi erano riusciti ad evitargli quell' amara sorte. 

Francesco non amava studiare e neppure stare fermo su un banco. 

Quindi il babbo a sedici anni lo aveva levato da scuola e lo aveva portato con se a lavoro, lo avevano inserito come categoria protetta. 
Protetta da chi Francesco non lo sapeva, perchè i colleghi si burlavano sempre di lui e suo padre lo menavo come sempre. 

C'era solo Matteo che lo capiva, Matteo aveva studiato ma gli erano nati tre gemelli e la fabbrica pagava meglio della scuola. 

Matteo con lui rideva e scherzava e non perdeva mai la pazienza. 

Così Francesco per ringraziarlo della sua gentilezza gli aveva portato a spasso i bambini, sua moglie mentre lo aspettava fuori dalla fabbrica talvolta si appisolava sulla panchina di fronte all' uscita degli operai, era stanca, aveva borse sotto gli occhi scuse, lui la scambiava per un panda biondo. 

Erano spesso soli i bambini, in quel bolide a tre posti, lui si era messo alla guida e poi era andato lungo il fiume, voleva fargli vedere gli anatroccoli, i bambini amano gli anatroccoli. 

Ma quando era tornato alla fabbrica erano tutti in subbuglio, Matteo lo aveva sgridato, il panda biondo gli aveva tirato uno schiaffo, poi il babbo aveva rincarato la dose,  la sera a casa. 

Aveva detto che lo avrebbero rinchiuso, perchè aveva vent anni ed era il solito matto. 


Francesco si immaginava lui e il panda biondo rinchiusi in una gabbia con i tre gemelli. 
Non voleva stare in gabbia, non gli piaceva neppure lo zoo. 

Quando ce lo avevano portato aveva pianto guardando gli animali, per lui gli animali dovevano correre nei prati, come faceva il loro gatto Birillo, non stare in gabbia. 

Ma suo padre era stato irremovibile, erano venuti dei signori a prenderlo, signori carini, più gentili del babbo. 


Francesco tremava e sudava a pensare alle gabbie, aveva mal di pancia. 

Eppure quei signori erano così gentili.

Poi erano venute le punture, gli urli. 


Quanto aveva gridato Francesco alla vista dell' ago, loro volevano sedarlo e ingabbiarlo e lui si era spaventato a morte, aveva anche morso l' infermiera, così forte da farla sanguinare. 


Al suo risveglio Francesco però non era in una gabbia, ma in una stanza molto più pulita della sua, si era alzato e aveva trovato una ragazza di bianco con un pasto, molto più buono di quello di mamma, era tutti gentili  e carini con lui, lo facevano dipingere e recitare e persino guardare un film la sera. 

A Francesco sembrava di essere in vacanza. 

Però talvolta la notte sentiva la mancanza del puzzo di cavolo che cucinava la mamma e che impestava tutta la casa e sentiva pure la mancanza del babbo e il suo vociare " Sei sempre il solito matto francè!".



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